La futura classe dirigente
La futura classe dirigente non sa che il mondo che dovrà governare è sull'orlo del collasso. Impara la grammatica, l'inglese, qualche data importante e nomi di città che tra qualche anno non esisteranno più.
La futura classe dirigente con molta probabilità non conosce telefoni che abbiano fili o tasti, è salita su diversi aerei nei primi anni di vita e ancora non sa di essere cruciale per il sistema pensionistico. O, chissà, forse qualcosa ha intuito.
La futura classe dirigente è uno spettacolo che prende in prestito le parole di bambini e bambine che hanno adesso tra i 6 e i 13 anni, interpellati su problemi che potrebbero essere lì ad attenderli tra qualche anno se gli adulti di oggi non intervengono.
È un esercizio di immaginazione su un futuro che non si prospetta roseo e un interrogativo aperto sulle nostre azioni del presente. Non vuole essere accusatorio, ma anzi saltare oltre il senso di colpa, raggirare la retorica e guardare più a fondo, verso le possibilità ancora aperte di prenderci la responsabilità del pianeta e di quello che succede nel mondo. Nonostante le difficoltà di comprenderlo, o la paralizzante sensazione di non poter cambiare le cose. Spostando lo sguardo da quello che ci è stato lasciato a quello che potremmo fare invece noi.
La parola viene affidata ai bambini anche per riflettere la complessità dell'informarsi sul tema del cambiamento climatico e destreggiarsi tra la mole di input e opinioni in contrapposizione che quotidianamente riceviamo, oltre per rifuggire un qualsiasi scopo divulgativo o scientifico della drammaturgia.
È uno spettacolo che vuole essere un atto di amore (un amore non rassicurante, ferino e complesso, ma comunque amore) verso esseri umani che non conosciamo, che magari devono ancora nascere, che potremmo anche non capire, o trovare simpatici. Che prima o poi decideranno anche per noi. Esseri umani a cui tutto sommato nessuno ci chiede di fare attenzione, oltre l’ottica della performatività. Ha qualcosa a che fare con un famoso proverbio di un albero piantato, e un’ombra sotto la quale non avremo mai modo di sdraiarci.
Anche perché, dicono loro, gli alberi non esisteranno più.
Un progetto di Caterina Marino
coproduzione CranPi e La Corte Ospitale
Residenza produttiva Carrozzerie n.o.t.
Con il sostegno di Atcl_circuito regionale del Lazio


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