Come tutte le ragazze libere
regia di Paola Rota
Rassegna stampa
COME TUTTE LE RAGAZZE LIBERE - LA REPUBBLICA di Concita De Gregorio 25/11/2021
In una giornata come oggi, in cui tanto e giustamente si parlerà di patriarcato, maschilismo, di violenza sulle donne – che sia esplicita o subdola, altrettanto letale – vorrei raccontarvi una piccola storia marginale, bellissima, che a vederla rappresentata mi ha emozionato come non mi capitava da tanto. E’ uno spettacolo teatrale a cui ho assistito a Roma, gira in questi giorni per il Lazio e speriamo possa andare altrove: sarebbe questo sì fondamentale, perché la lotta alla violenza si combatte in primo luogo con la cultura diffusa, la formazione, la conoscenza.
Le sanzioni sono un povero strumento di dissuasione, insufficiente. Lo spettacolo si intitola “Come tutte le ragazze libere” (progetto Fabulamundi) e prende spunto da un fatto di cronaca: sette ragazzine di tredici anni tornano incinte da una gita scolastica. Hanno fatto un patto: sarebbe stato, quello, il loro modo per “andarsene”, per restare insieme in una specie di comunità ideale, un modo per scappare dal degrado della loro vita vera. Una vita fatta, appunto, di soprusi, sudditanza, di povertà e di impossibilità di scegliere. L’autrice del testo si chiama Tanja Sljivar, è nata a Banja Luka, capitale de facto della Repubblica serba di Bosnia, 33 anni, ed è una delle più importanti drammaturghe europee.
Per la regia di Paola Rota sette attrici di età molto diverse interpretano i monologhi incrociati delle tredicenni che raccontano tutto della gita, tanto delle loro vite ma niente, quasi niente di quando come siano rimaste incinte. Pare quasi che non lo sappiano. Capiamo solo che lo hanno deciso, quella è sembrata loro l’unica fuga possibile. Magnifiche le interpreti tra cui Silvia Gallerano, Liliana Massari, Irene Petris. Da portare ovunque, soprattutto nelle scuole.
Uno spettacolo bellissimo, questo si può dire in prima istanza di “Come tutte le ragazze libere”, perché già nel titolo porta la testimonianza di una strategia messa in campo per mantenere l’interezza, la bellezza, che il termine “ragazza” dovrebbe provocare. Il “come” presuppone la partenza da una condizione di privazione per arrivare a quel modello di libertà che le ragazze libere rappresentano. Sette ragazzine di 13 anni in Bosnia provarono davvero a cercare la libertà da una realtà che non offriva più sogni vedendo nel loro utero la feritoia attraverso la quale inseguire la luce.
È la Stagione del Teatro India a continuare ad attingere storie ed esperienze dalla cronaca più attuale, per poter provocare piccole rivoluzioni culturali e sensibilizzare su alcuni temi sociali già dal palcoscenico, come nello spettacolo diretto da Paola Rota, Come tutte le ragazze libere, in programma dal 15 al 19 febbraio, tra monologhi e scene corali per riscrivere i concetti di famiglia e patriarcato. Scritto nel 2017 dalla drammaturga bosniaca Tanja Šljivar, il testo racconta la storia di sette tredicenni rimaste incinte durante una gita scolastica: un fatto ispirato dalla cronaca, che nasce in un paese dei Balcani per diventare una storia universale attraverso la regia di Paola Rota, che costruisce per ciascuna delle protagoniste uno spazio di racconto, un mosaico dai destini incrociati per sfidare la norma sociale e continuare a riscriverne le regole. Sette ragazze di tredici anni, sette scene e sette monologhi fanno da cornice tematica a un dramma in cui l’unica costante è l’inaffidabilità delle giovani quando si tratta di ricordi e dichiarazioni. Perché qui non stiamo parlando dell’amore, qui stiamo parlando della libertà dal non amore, che trasuda dall’incontro con i ragazzi che vogliono provare il porno, dalla città che non offre nulla, dalle famiglie che neppure domandano come siano rimaste incinte, dalle donne medico che non vogliono affrontare la questione…è chiaro che i ricordi sfumino a vantaggio dell’unica intenzione che riluce tra le loro parole: essere libere. Queste ragazze decidono di andare via insieme, guardano ai nascituri come a dei cuccioli da scambiarsi, consce che solo tra loro possono comprendersi e difendersi da una realtà che non dispensa né protezione né, tantomeno, amore.
La loro è una visione altra di famiglia, che il mondo non prospetta. Non è facile aderire al loro sguardo e pensare un futuro in cui generare un figlio perde tutto il pathos di una maternità consapevole e corrisposta dall’uomo, ma non è facile dare loro torto, quando l’ipotesi migliore è affidarsi, crescendo, alla speranza che i ragazzi allattati da una società maschilista e violenta, possano sviluppare braccia capaci di accogliere, nutrire e proteggere. Esiste poi, nello spettacolo, l’affronto sessuale a una visione che vuole le donne prede, vittime stuprate, bambole dalle gambe divaricate sotto il peso del desiderio del maschio, del suo diritto a “provare, sperimentare, usare, legare” .. sopra il cartoccio pornografico sottomesso, si alza irriverente a una cultura stantia, che ha generato solo aborti di relazione, la sperimentazione e l’utilizzo del seme, da parte di queste ragazze. Loro riescono a ribaltare la logica imperante e il maschio diventa solo mezzo per ottenere lo scopo non del legame, come tradizione vuole, ma della libertà. «Come tutte le ragazze libere è una commedia sulla necessità di andarsene via per poter realizzare pienamente la propria sessualità, per essere in grado di prendere decisioni sul proprio corpo e sulla propria vita. C’è la cultura pop americana, Skype, Instagram – come si legge dalle note di regia – Ci sono le nonne, la teoria critica e l’ambiente patriarcale di una piccola città. Attraverso i loro mezzi, le sette ragazze vogliono raccontarci tutto, tranne come sono rimaste incinte durante una gita scolastica».
Il mistero aleggia denso su quest’opera teatrale che, con la sua necessità sfida le convenzioni della società, rendendo artefici di questa piccola rivoluzione culturale un gruppo di teenager. (…)
L’euforia dei legami: “Come tutte le ragazze libere” - LIMINATEATRI di Carolina Germini 18/2/2023
In gita scolastica, specialmente quando hai tredici anni, può succederti di tutto. Ma quello che non puoi proprio immaginare in quei giorni è di restare incinta. Tra tutte le esperienze, quella della gravidanza, è in assoluto la più lontana dalla spensieratezza, dal divertimento e dall’euforia che hai addosso quando, a quell’età, sei finalmente lontana dalla tua famiglia. Ma se quel destino, però, lo condividi con altre sei compagne di classe, quella che agli occhi del mondo è in assoluto la peggiore delle catastrofi può persino trasformarsi in un gioco, quello di vedere ogni giorno il proprio corpo cambiare. Ecco che allora la scelta registica di Paola Rota di rappresentare la maternità con dei palloncini si rivela perfetta nel restituire l’incoscienza di sette ragazze che non sembrano sentire il peso di quello che stanno vivendo.
Ispirato a un fatto di cronaca, a una storia avvenuta in un paese dei Balcani, Come tutte le ragazze libere, opera della drammaturga bosniaca Tanja Šljivar, è un racconto corale che ci introduce in una dimensione intima, privata e assolutamente inaccessibile come può esserlo soltanto quella di un gruppo di amiche che condividono la stessa condizione e che sono unite più che mai e alleate di fronte alle domande intrusive, ai pensieri giudicanti di chi vuole scegliere al loro posto su ciò che più appartiene loro: il corpo. Se c’è un sentimento, tra tutti, da cui lo spettatore si sente travolto, questo è certamente l’euforia. L’euforia dello stare insieme, del condividere ogni cosa, perfino l’esperienza della gravidanza, sapendo che ciò che accade ad una accade a tutte le altre, per quel legame viscerale al limite del morboso che è l’amicizia a tredici anni. Come sia successo, però, quello che effettivamente è successo, le ragazze non lo dicono e nessuno ha il coraggio di chiederlo. La loro non sembra neppure reticenza, quanto più il risultato di un oblìo, la rimozione di un ricordo doloroso, meccanismo di difesa che mette in atto la psiche per proteggersi. È attorno a questo vuoto della memoria che la narrazione si dispiega, che le varie voci si intrecciano, in un unico groviglio che può trovare la sua risoluzione soltanto nello stringere con ancora più intensità i nodi che lo tengono unito. Attraverso un ritmo incalzante, come le note della canzone Bad guy di Billie Eilish che compare alla fine, Come tutte le ragazze libere ha l’intimità di un diario segreto ma l’apertura e la bellezza di un collettivo femminista.
COME TUTTE LE RAGAZZE LIBERE – regia Paola Rota - SIPARIO di Roberto Canavesi 28 /2/2023
Se il teatro, tra i suo doveri ideali, ha quello di suscitare domande nello spettatore ponendosi come scomodo interlocutore in dibattiti dall’interesse collettivo, Come tutte le ragazze libere di Tanja Šljivar, apprezzata autrice serba cui non difetta certo il coraggio, è da considerarsi manifesto di una poetica per alcuni politicamente scorretta, di certo utile al confronto su tematiche di pubblica utilità.
In un palco completamente spoglio, solo un pianoforte e qualche sedia a vista, sette giovani donne raccontano di quando, adolescenti tredicenni, al termine di una gita scolastica di cinque giorni si scoprirono tutte incinte: ispirata ad un fatto di cronaca, la narrazione dell’accaduto procede alternando lunghi monologhi a scene corali, sempre con la stella cometa della promessa che le ragazze si sono fatte reciprocamente in una di sorta di patto di sangue con cui suggellare il desiderio di libertà da un mondo fino a quel giorno opprimente ed asfissiante. La regia di Paola Rota ben asseconda il fluire ininterrotto di una scrittura ricca di contaminazioni dagli slang giovanili e dall’universo dei social, linguaggio con cui dell’accaduto si racconta il prima ed il dopo, per nulla soffermandosi sul come e sul perché sia potuto succedere: ottanta minuti filati che sbattono in faccia allo spettatore la vexata quaestio del libero arbitrio, su quali siano i confini di una libertà individuale da sempre destinata ad aleggiare sul destino di persone chiamate a prender decisioni riguardo la propria vita.
Se quello cui danno forma le sette protagoniste, nell’immaginare la città ideale dove poter realizzare i loro sogni, è una sfida generazionale ad una società in cui non si riconoscono, Come tutte le ragazze libere è da leggersi come inno alla libertà che sia innanzitutto emancipazione da vincoli sociali e famigliari la cui reiterazione è per le nuove generazioni fonte di un profondo disagio: il messaggio parte dal palco, e con il passar dei minuti arriva dritto in platea tra spettatori all’inizio un po’ spiazzati, poi sempre più coinvolti dal racconto delle applaudite interpreti tra cui meritano una citazione la sempre incisiva Irene Petris, con Silvia Gallerano e Sara Mafodda.
Una considerazione a margine: in un sistema teatro dove trova sempre più spazio l’elemento tecnologico, microfono a bacchetta come panoramico, stona non poco che per uno spettacolo di sola parola, in cui non tutte le interpreti hanno “spinto” la voce come necessario, si sia scelto per una volta di non ricorrere alla strumentazione fonica, penalizzando una fruizione che avrebbe meritato ben diverso ascolto.